Riuniti di Foggia: quasi due milioni agli eredi del paziente morto per negligenza e imperizia del proprio dirigente medico

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A quasi dieci anni dalla morte di Saverio Corvino dopo una polipectomia al Riuniti di Foggia, l’ospedale è stato condannato a pagare 1,8 milioni ai familiari per “imprudente e negligente sperimentazione”. Stando alla ricostruzione depositata in Procura dai familiari, il 15 dicembre 2011, la vittima fu ricoverata nel reparto di gastroenterologia per sottoporsi all’intervento di polipectomia.

Operazione, questa, quasi di routine, che si fa anche in regime di day hospital. L’intervento sembrava esser andato bene: 24 ore e il paziente viene dimesso. Ma due giorni dopo, il 17 dicembre, il 46enne accusa gravi malori. Ricoverato d’urgenza al policlinico, per lui, purtroppo, non c’è stato nulla da fare. Muore poco dopo il ricovero. Immediata la denuncia dei familiari alla magistratura.

Il medico che ha eseguito l’intervento, nel 2017 fu sottoposto a procedimento penale, rinviato a giudizio per omicidio colposo, che si concluse con la prescrizione del reato poche settimane prima delle discussioni dei difensori. Il Giudice civile ha condannato l’Azienda Ospedaliero Universitaria ‘Ospedali Riuniti’ al pagamento di 1.800.000 euro oltre rivalutazione e interessi.

Gli errori medici, ascrivibili al medico sono stati diversi: l’intervento è stato eseguito mediante una tecnica sperimentale, rispetto alla quale la comunità scientifica internazionale ha espresso contrarietà proprio in ordine ai possibili effetti collaterali; l’intervento è stato refertato in maniera del tutto scadente e approssimativa; non fu svolto alcun monitoraggio post operatorio; il paziente non è stato informato delle possibili conseguenze, ed anzi invitato ad utilizzare un antidolorifico.

L’avvocato Michele Vaira ha dichiarato: “Questo processo è emblematico nell’attuale dibattito sulla riforma del processo penale. La fase dibattimentale, che dovrebbe essere centrale nell’accertamento dei fatti, è stata quasi completata a ritmi serrati nei due anni che ci separavano dalla prescrizione, poi purtroppo maturata. Le indagini preliminari, infatti, sono durate quasi cinque anni, e la sola udienza preliminare addirittura un intero anno.
Quando eravamo ormai in dirittura d’arrivo, poi, l’emergenza sanitaria derivante dalla pandemia ha definitivamente stroncato il processo.
L’imputato, nel corso del procedimento, ha cercato di accreditare la sua tecnica quale vera e propria innovazione, presentata al processo in pompa magna attraverso pubblicazioni internazionali. In realtà, quelle stesse pubblicazioni dimostravano il mancato consenso della comunità scientifica internazionale.
Lo stesso perito del Tribunale ha parlato, senza mezzi termini, di imprudente e negligente ‘sperimentazione’. Sarebbe interessante sapere se, ancora oggi, questa tecnica (che prevede l’utilizzo di un farmaco sclerosante) sia effettivamente autorizzata dall’Azienda Ospedaliera e se i pazienti siano informati dei relativi rischi”.